giovedì 26 luglio 2007

Pernacchie dallo spazio

Tutti sanno che dallo spazio piovono giù sulla terra le energie e gli oggetti più disparati; specie di questi tempi, in cui le recenti invenzioni, meraviglia e vanto del nostro secolo, ci hanno permesso di scrutare e conoscere il Cosmo come mai prima era stato possibile; e a ciò occorre ancora aggiungere -necessario olocausto sull'altare del progresso- che ci comincia a piovere addosso anche la ferraglia radioattiva che abbiamo sparato nei cieli, fiaccola (ahimè) dell'umana sete di sapere scagliata a rischiarare l'Universo.


Dunque piove di tutto, e se a qualcheduno venisse in mente di liberarsi del pattume che ormai ci soverchia mettendolo in orbita, tra qualche decennio magari ci pioverebbe addosso anche quello.
Ma nessuno penserebbe mai che dallo spazio possano giungere anche le pernacchie: sì proprio pernacchie, sonore e modulate, come quelle che ogni tanto si sentono per la strada, oppure a teatro.



Pernacchie dunque, e siccome lo scopo dell'articolo è chiaramente quello di dimostrare come dallo spazio possano giungere tali sonorità, so già che qualcuno dei miei lettori se la starà ridendo sotto i baffi pensando quali inverosimili argomentazioni dovrò escogitare per dimostrare questa sbullonata ipotesi.



Eccone dunque alcune: forse qualcuno ricorderà la "musica di Saturno" che i Telegiornali ci propinarono per un paio di giorni, molti anni fa, in occasione del passaggio vicino al pianeta di non so più quale sonda spaziale; allora stavano tutti con le orecchie tese e quasi vibranti, in preda ad un mistico fervore ed in trepido ascolto di cotanta celeste armonia; non c'era edizione dei vari TG che non la riproponesse, e mi stupisco di come non sia finita in qualche hit parade, forse perchè a nessuno è venuto in mente di farcene un disco.



Bene, quella musica, come però spiegarono dopo qualche edizione, era ricavata semplicemente modulando un segnale sonoro con l'intensità dei campi elettromagnetici, emessi appunto dal pianeta e rilevati dalla sonda. Campi che, essendo velocemente variabili, possono dar luogo, se modulano un segnale sonoro, ad un'impostura di melodia analoga a quelle che produceva il buon John Cage sovrapponendo pentagrammi alla carta del salumiere.



Così un paio di cervelloni della NASA si erano divertiti a fare un giochetto come quelli che si fanno quando si producono i fischi con la sintonia delle radioline, e i mass media, che in queste cose sono maestri, ci propinarono il giochetto come se fosse oro colato.



Adesso però non voglio criticare i mass media nè i cervelloni della NASA, voglio piuttosto porre attenzione a ciò che si evince dal fatto citato; e cioè che le percezioni che abbiamo, direttamente o per il tramite degli strumenti, meccanici o elettronici che siano, sono sempre il frutto di una mediazione, di un processo pensante operato sulla realtà percepita, che ce ne restituisce quel che ci sembra essere oggettivo ed invece è già rappresentato, e appare oggettivo perchè reso tale dal potere di verità del pensiero.



Pensiero che però non riconosce la priorità del suo ruolo rispetto al mondo da sè mediato e rappresentato, pensiero quindi alienato a sè stesso; pensiero che grazie al suo interno potere di verità rende reale l'oggetto rappresentato, ma fa di sè vuoto nominalismo; pensiero che, in sintesi, non sa di sè stesso.



Per cui alla resa dei conti risulta evidente che i supposti campi elettromagnetici di Saturno ce li rappresentiamo, e ce li possiamo rappresentare per il tramite dell'ago di uno strumento che ne indichi l'intensità, oppure modulando un suono. E ancora, per assurdo, modulando, in timbro e intensità, una pernacchia: una bella e sonora pernacchia come quelle dei film del grande Totò, che volentieri avrebbe prestato le labbra a tale esilarante ma istruttivo esperimento.



Per cui, se volgendo lo sguardo al cielo stellato, all'incommensurabile scenario che sovrasta ogni uomo, al luogo in cui nel profondo di sè ognuno sa che è celata l'origine ed il mistero della sua esistenza, crediamo di percepire soltanto campi elettromagnetici, raggi cosmici, sbomballamenti protonici, allora, moduliamoli con una pernacchia.



Moduliamo con tante belle pernacchie il tremolio delle stelle nelle notti d'estate, e tutto il Cosmo sarà un grande spernacchiare, che ci darà l'esatta misura di tutte le radiazioni, che ci indicherà in maniera sicura e con grande precisione l'abisso di insipienza e di dabbenaggine nel quale noi, uomini dell'era spaziale, che abbiamo conquistato -si fa per dire- la Luna, e non sappiamo niente del mistero della nostra coscienza, siamo caduti.

domenica 22 luglio 2007

Dottore io? Al più veterinario!

Molti anni fa (in Sicilia) ero solito far colazione in un baretto proprio vicino a dove lavoravo; i ragazzi del bar apostrofavano invariabilmente con "dottore" i colleghi in giacca e cravatta e con "ragioniere" tutti gli sfigati in jeans e polo.


Io, pur appartenendo alla seconda categoria, venivo premiato con il miglior epiteto, forse a causa della deferenza che diversi colleghi in giacca e cravatta mostravano verso di me (mai inimicarsi chi controlla il tuo computer!).

Bene, un giorno decisi di por fine a questo ignobile vezzo, tipico di noi meridionali, e risposi a tamburo battente "Io? Ma che dottore! Al massimo veterinario" ed indicando con lo sguardo i colleghi presenti "basta dare un'occhiata ai miei pazienti!".

Il ragazzo del bar, non capendo il senso ed il contesto, sferra una gomitata all'altro barista ed esclama: "Giuva', il dottore è veterinario, chiediamogli se s'intende di cavalle, potesse venire a visitare la nostra!".

Io, facendo occhiolino, e tra le risate neppure troppo sommesse dei colleghi, rispondo a tambur battente "mhh, sì, potrei, ma dipende molto dal... tipo di cavalla: com'è, com'è 'sta cavalla?".

Il poveretto continuava imperterrito a spiegarmi il problema della sua cavalla, e con uno sguardo a metà tra il risentito e l'interrogativo, distribuiva occhiatacce ai miei colleghi, che tra uno schizzo di crema e una sbrodolata di cappuccino, non smettevano di sbellicarsi dalle risate.