giovedì 21 giugno 2007

Ti faccio un disegnino?

A chi non è mai capitato di apostrofare in tal guisa un interlocutore inetto?

L'espressione può risultare perentoria e brutale, ma rende bene il concetto.

Perchè di questi tempi concetti se n'acchiappano pochi davvero, e allora forza coi disegnini, che nella povertà dello schematizzare rendono, seppur poveramente, quel che l'atrofizzato pensare non sa più cogliere nel suo movimento sorgivo.

Dappertutto nelle aziende, nelle scuole e persino nelle università, è ormai invalso l'uso e l'abuso di conferenze a base di cosiddette "slides": disegnini che sottraggono gli ascoltatori all'imbarazzo di un esercizio concettuale a cui non sono più, ahimè, avvezzi.

Alla luminosa musicalità della parola si preferisce l'immediatezza dell'immagine, alla complessità dell'articolato periodare la nudità dello schema.

Nell'era dei "fast food" abbiamo inventato il pensiero precotto, due minuti nel forno a microonde della scatola cranica ed è pronto per l'uso, senza necessità di elaborate cotture e digestioni difficili: precotto e predigerito.

Cibo per malati insomma; ed è davvero penoso dover constatare fino a che punto l'"homo tecnologicus" si sia spiritualmente impoverito: figlio di un dogmatico materialismo che concede pseudo-scienza ma nega libertà, libertà il cui ambito non può che essere spirituale, e di quel tenore spirituale che nella sana e profonda attività concettuale ha la sua prima espressione.

E persa che sia questa nobile arte, non potremo che tornare all'era dei graffiti: disegnini, tecnologici quanto si vuole, ma pur sempre, nella sostanza, primitivi.

Saranno forse disegnati anch'essi i prossimi "dieci comandamenti" a cui un'umanità non più libera dovrà sottomettersi? L'era del "grande fratello" è iniziata da un pezzo, di "disegnini" pubblicitari i muri e le strade sono già tappezzati, non resta che arrendersi all'evidenza!

Ma forse non sono stato chiaro: che, vi faccio un disegnino?