venerdì 18 aprile 2008

EUTANASIA DELLA RAGIONE

J'accuse... no, io non accuso nessuno. Il mio stipendietto da impiegato non mi permetterebbe di star dietro alle inevitabili ritorsioni legali, alle lungaggini giudiziarie e burocratiche, alle parcelle degli avvocati.

Come si dice, tengo famiglia. Ma ciò non mi impedisce di provare uno sdegno pari, se non superiore, a quel che dovette compulsare il sentire di Emile Zola, mentre scriveva il suo celeberrimo "J'accuse!".

Perchè qui vi è ben più che l'"affaire Dreyfus", qui vi è qualcosa che sconfina oltre ogni miserabile, seppur comprensibile, sub-ragione dell'odio e della rivalsa. Qui vi è soltanto il nulla.

Sulla vicenda giudiziaria di Bruno Contrada non v'è da disquisire, tutto l'assurdo che pesa sul giudizio è agli atti; tutta l'illogicità delle accuse è palese nelle sue condizioni di vita, materiali, economiche.

Meno che mai sulla vicenda umana: laddove una giustizia falsamente garantista promuove le necessità esistenziali di qualsivoglia rubagalline, Bruno Contrada muore -innocente- in una prigione.

Qui l'orrore della vicenda è tutto nelle intenzioni di chi giudica e accusa, perchè ci pone di fronte all'evidenza di quel "1984" che ignari, mentre inseguivamo ideali di libertà e democrazia, abbiamo permesso che si avverasse.

E' l'orrore della follia che ci sgomenta, non certo la sofferenza, che certamente avrà un pareggio, tanto più luminoso quanto più oscuro ne fu l'inverarsi.

Jean Paul Sartre scrisse "L'enfer sont les autres". Io credo di no: io credo che gli altri, ovvero la reale esperienza di ciò che è altro da noi, come superamento della barriera e dell'ottusità dell'egoismo, siano il paradiso.

Per ciò stesso credo che l'inferno, semmai ve ne sia uno, siamo noi stessi: perchè di fronte al giudice dell'autocoscienza, l'unico in grado di comminare la pena che valga l'espiazione -la comprensione di ciò che si commette- il fuoco che avvamperebbe l'anima sia, quello sì, infernale.

Soltanto questo è "pentirsi": luminosa rinascita il cui concetto appartiene alla penna immortale di Alessandro Manzoni, e non certo allo scherno che ne abbiamo fatto, promuovendo gli infami a sì nobile rango.

E non voglio dire con questo che chi "infama" non sia necessario a una giustizia, spesso costretta a muoversi nelle vie strette e tortuose di pratiche, come si suol dire, poco ortodosse, se non addirittura inconfessabili.

Voglio dire che mai, prima d'oggi, un delatore fu chiamato pentito, e se il genio della lingua è l'espressione spirituale di un popolo, come siamo miseramente precipitati rispetto alla nobiltà dei nostri padri, che seppero elevare il loro sentire di fronte alle pagine imperiture della conversione dell'Innominato!

Perciò anch'io chiedo un'eutanasia, e non certo per Bruno Contrada, che mai l'accetterebbe, da fiero uomo qual'è.

Chiedo l'eutanasia per quel che resta del nostro ordinamento giuridico, perchè lo scempio della sua dissoluzione venga sottratto alla morbosa curiosità della folla.

E non sto certo agitando lo spettro della rivoluzione! Sono un non violento, niente mi turba come l'orrore della massa sanguinaria che scatena il suo più infimo istinto.

Chiedo soltanto che cessi l'accanimento terapeutico nei confronti di un sistema giuridico malamente disfacentesi, che dopo qualche minuto di raccoglimento se ne possano dignitosamente comporre i resti, e affidati questi che siano al silenzio della tomba, si proceda, stavolta sì, verso una conversione luminosa, un pentimento di quelli che facciano impallidire perfino il fulgore delle pagine manzoniane.

Signori giudici, staccate la spina, la misura è colma!