martedì 8 aprile 2014

Sacerrima

Non si usa, in italiano, il superlativo assoluto di sacro, se non in contesto letterario. Esiste, è vero, "sacerrimo", ma il termine è arcaico. Per non parlare poi di "sacrissimo", che suona perfino male.

Insomma, non parliamo mai di ciò che è più sacro.

In latino invece l'ablativo "sacerrima" esprime sinteticamente, e mirabilmente, tutto il concetto: delle cose più sacre, di ciò che è più sacro.

Non si parla quasi mai di ciò che è sacro, figurarsi se addirittura si suole disquisire su ciò che è in assoluto "più sacro": qui però, vogliamo parlarne.

Chiunque voglia gettare uno sguardo sui misteri dell'esistenza sente, più o meno oscuramente -aldilà delle risposte della scienza, buone a spiegare tutto e non comprendere nulla, o delle risposte della religione, invariabilmente legate ad una intimità spirituale che però non si fa strada tra i misteri dell'universo- l'enigma centrale, posto e miseramente irrisolto, della coscienza che, contemplando il mistero dell'essere, pone contestualmente se stessa di fronte al mistero del nulla.

E se giungesse a poter meditare con la necessaria profondità quest'immediato assoluto, evidente a chiunque sia dotato di pensiero logico, dovrebbe arretrare impaurita di fronte alla superumana vastità di ciò che sempre si squaderna allo sguardo dell'uomo nell'abissalità della notte, nella profondità del cielo stellato, in ciò da cui continuamente distogliamo lo sguardo interiore.

Insomma, si giunge presto a una "soglia" che è l'esaurimento di ogni categoria dell'essere o "particulare", si arretra impauriti, se si è capaci di profondo pensare, di fronte al vero abisso dell'esistenza.

Ma -come afferma Goethe- consideriamo che "se l'occhio non fosse d'essenza solare, mai il Sole potrebbe mirare"; così di fronte all'Eternità, il pensare dell'uomo deve riconoscersi della stessa archetipica origine, ove minimamente possa giungere a contemplarne il Mistero!

Riconosciamo, in sintesi, che nella contemplazione del pensare si produce un'attività che è al contempo perfettamente libera e in sè perfettamente compiuta.

Inevitabile il riferimento filosofico all'"idea in sè e per sè" di Hegel; in cui però si pone la possibilità dell'esperienza autonoma aldilà delle categorie dell'essere, ovvero indipendentemente dal percepito.

Questa via interiore, che è logicamente possibile percorrere, e non necessita se non dell'autonomia del pensiero logico condotto fino alle sue ultime istanze, è la via indicata nella "Filosofia della Libertà" di Rudolf Steiner.

Questa via interiore fu ripercorsa e riproposta da Massimo Scaligero, e riformulata nel suo "Trattato del Pensiero Vivente".

E' la via interiore a cui ci riferiamo, senza per questo escludere il più vasto portato spirituale noto come "Antroposofia", proposto dallo stesso Rudolf Steiner nel secolo scorso per quegli uomini, e ancora oggi è la gran maggioranza, che ancora non avessero, in sè compiuto, l'anelito il coraggio e la comprensione verso l'immediato assoluto, o abisso dell'esistere, di cui qui è questione.

Verso quest'abisso deve inoltrarsi chiunque voglia gettare luce non effimera sull'enigma della sua esistenza, in quest'abisso si incontra la sorgente della nostra origine: Amore cosmico che si fa Amore umano, da quest'abisso si torna alla vita come esseri liberi.

Rudolf Steiner ne testimonia dicendo "passeranno il Cielo e la Terra, ma non passerà mai l'Amore che li ha congiunti nel cuore dell'uomo", Massimo Scaligero nel Trattato del Pensiero Vivente afferma "chi cerchi le radici viventi del pensiero trova il Divino, la via vera della meditazione, o della preghiera".

Volgendo lo sguardo interiore verso l'Eternità che sottende quest'abisso dell'esistenza, scoprendone l'indissolubile connubio con l'Amore Creatore, riconoscendone il valore sacerrimo, iscriviamo nel destino del Mondo:

Non esiste vero amore che non sia eterno, non esiste Eternità che non sia intessuta d'Amore.

"Nessuno ha mai visto il Padre. Il Figlio unigenito che è nel suo seno, Egli stesso ce l'ha fatto conoscere"

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